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Al semaforo
Un capello spettinato, pantaloncini da calcetto e una maglietta messa li un po' a caso. Forse ancora troppo piccolo per sentirti in dovere di vestirti da grande, forse invece portavi addosso i miei stessi anni ma non lo sentivi come me, come un peso. Molta poca voglia di perdere tempo, sembra che ultimamente tu abbia capito che non lo si può sprecare. Questo si vede, anzi, si è visto subito. Prima ancora che tu tornassi al semaforo senza le medicine: non è qui che sono, quelle per tuo nonno. I tuoi occhi hanno guardato nella mia direzione ma era chiaro che non erano rivolti a me con la malizia dei vent'anni, o semplicemente degli uomini. Erano neri, profondi, persi. Non cercavano piacere, magari consolazione. Venerdì sera, dividerti la spesa con tua madre, per poi correre in farmacia per primo. Per risparmiare tempo, per non farle prendere l'acqua.
Agosto 2016: a Melbourne in un parco
Mi ero persa tantissimi pezzettini di vita, uno dopo l’altro. Il caffè caldo, i malumori del lunedì, gli occhi ancora chiusi la mattina. Spazi tra braccia e petto, la ricerca dei calzini, il pezzettino di carne incastrato tra i denti. Quella strana sensazione di tempo liquido e differente me l’aveva fatta per tutti questi giorni, questi mesi. Sorrisi. La mancanza totale di linearità d’un tratto incominciava a schiarirsi, anzi era totalmente trasparente. Smetteva neanche troppo lentamente di nascondere quella che nel mondo degli adulti non è altro che la vita. Non avevo vissuto mai niente di reale, solo una serie di proiezioni portate avanti e alimentate senza responsabilità.
Estate in Calabria
Dove sono cresciuta io ci facevamo le trecce a vicenda e giocavamo ad acchiappare le ranocchie. Di tutta la via, quella che iniziava con un casone all’angolo dove ora s’è buttato giù, io ero l’unica tra i cugini, l’unica tra gli amici, a dover mettere il costume due pezzi.
Come se mi avesse mai fermato all’ora di aprire la bocca e sparare qualche sentenza, Dio non m’abbia ascoltato, nei modi e nei tempi che utilizzavo. Senza la sfacciataggine di buttarsi a occhi chiusi, ma con la presunzione di sputarli dopo averli riflettuti, i giudizi.
Guidavamo una Jeep giocattolo che andava a benzina. Prima io, che ero la più grande. Con prepotenza ero l’ultima a tornare dalla spiaggia, correndo i cento metri avvolta nel pareo e avendo fatto tardi perché troppo impegnata nella caccia alle telline.
Con lo zio s’andava in barca, quando non si pescava dalla riva. Era forte lui, aveva una moto blu e viola, bella e molto grande. Gli occhi azzurri e i riccioli neri che dalla divisa invernale vestivano canotte verde scuro e cuocevano le cozze per noi che aspettavamo in terrazza.
Anche nel taglio di capelli era impossibile distinguermi dai miei cugini, così corti da non poter essere stretti in una mano. Il tempo del pettine era finito, la bicicletta non mi avrebbe aspettata all’infinito.
Negli anni la casa al mare è stata data via, del mare ci si fida a chilometri alterni, ed iniziano a nascere le nuove generazioni. La nonna è sempre uguale: sembra che il tempo a guardarla negli occhi si spaventi e giri a largo. Una coppia strana lei e il nonno, ma dai ruoli stabiliti.
Prendere e perdere
Non so che vite vivano, questi giganti pastello: si perderanno anche, ma da qualche parte dovranno pur stare. Quando sono persi, sono parole dette, abbracci dati, contratti firmati. Quelli presi sono pieni di dubbi irrisolti, grandi paure e profonde incertezze. Sono vigliacchi, e pieni di sogni persi.
Per dire di no - Burnswick nel 2016
Una casa non la voglio, ed un passato non lo ho. Ho poco da dirti e non so dove andrò. Non ho amici da presentarti o storie da raccontare, non voglio ricordarti né farmi ricordare. Oggi ci stai passando tu, ma sapessi quante volte io ho corso di fretta al traguardo per poi scoprirlo solo mio. Non voglio mentirti: non sono sicura, non sono costante e nemmeno matura. Sono ancora bloccata o cieca, non so, ma non posso donarti quello che più non ho.
Per andare e per restare - Napoli 2015
Mi hanno offerto porte aperte su uscite di sicurezza. Una confort-zone ovattata: la lasagna di mia nonna, il letto che mi manca. Una storia che non posso offrire se non sono prima pronta a perderla.
Mia madre mi presentò un gabbiano, quando non ero che una bambina. Mi ha insegnato a cercare, chiedere e dare. Guardare con la testa, sentire con lo stomaco. Ha gli occhi di chi, esausto, non si arrende. Non conosce la paura, ma sa e mantiene il segreto. Prende senza togliere, regala senza restarne privo. Se cerchi bene tra i panni alla finestra, trovi anche i tuoi. Sei a casa.
L’altro lato della paura è la meraviglia - Palermo
Spero di poter essere orgogliosa della confusione sincera che porto dentro, e sorridere stringendomi forte nella stanza che non ho ma già conosco: la stanza di una vita vista mare.
Conoscenza
Conosco i rischi che corro per aggiustare i tempi, ritrovare le panchine, annullare i chilometri, imparare la pazienza, spingere il coraggio e poi crederci, di nuovo. Ti capisco e non mi spaventi.
Senza riserva
Le cose che valgono la pena
Sono le storie che sei,
le volte che hai rischiato, e quelle in cui hai perso.
Soprattutto quelle in cui hai perso.
Sono i pezzi di te che lasci nelle persone, che prendi dalle persone.
Sono l’intensità con la quale vivi, e quella con la quale ami.
Sono il coraggio con il quale ti dai, senza riserve.
I bambini delle barche
Al mare giocavamo con grandi strutture di cemento, immaginando barche al contrario. Ci aiutavamo a scendere e a salire, con la bocca facevamo il rumore del vento, con i corpi ci fingevamo onde. Quando alcuni dei nostri padri volevano difenderci da quella che per noi era la normalità, non ce ne curavamo. I grandi sentivano la vertigine del diverso ma noi eravamo nati a viaggio iniziato, quelle preoccupazioni non ci appartenevano.
Resistenza al centro accoglienza
Chiedo scusa per un mondo che non mi somiglia. Sorrido in questi piccoli paradisi che nonostante tutto sono resistenza. Ciascuno avrebbe dovuto perdersi dentro se stesso ma preferiva annoiarsi tra le certezze e ne restava fuori. Una finta felicità in cambio di un'onesta malinconia. Non un bell’affare.
Sommersi
Dalle nuvole in giù siamo tutti sott'acqua.
Ricerca
Si torna anche senza tutte le risposte. Senza cercarle e quindi avendole trovate.
Desiderare
Alla prima lezione di desiderio, ci lasciarono in una campo fuori dalla città dal quale potevamo sentire il rumore del mare. Girai le spalle alla strada e iniziai a camminare dritta verso il prato. L’erba era alta, e stesa sulla schiena vedevo il cielo fisso, azzurro e immobile, tra un movimento e l’altro dei tulipani. Le strade danno consigli, hanno direzioni, una struttura ma i prati fitti ne sono completamente privi. Non potevo capire se per questo o per l’altro punto fossi già passata, così anche la fretta piano piano andò via. Il rumore delle onde la notte si fece più chiaro, e i versi dei gabbiani la mattina mi chiamarono. Arrivai alla spiaggia, non sapendo che giorno fosse o quanto tempo fosse passato. Avevo gli occhi più grandi, le mani più abili e le gambe più forti.
Sui perché
Doveva esserci stata una ragione, la si sarebbe cercata fino a soffocare. Qualsiasi cosa pur di non dover ammettere di aver provocato tutto quel dolore per avere poi in cambio niente.
Contratti
Stringendo i limiti, per mantenere più facile l’equilibrio.
Confidenza
Le volte in cui ci si lascia avvicinare sono quelle in cui i ricordi sono più importanti e più grandi delle foto. E dalla porta di ferro del giardino fino alla finestra del cortile, c’è ancora la linea che racchiude la mia felicità. Dopo anni l'ho capito: combattere per una vita a dipartimenti stagni non serve a niente se non a restare indietro cercando di capire come andare avanti.
Di fretta
Si chiudono le porte lasciando fuori il tempo di capire se sta meglio chi ama o chi si basta.
Oltre
Non è l’onda, non è la schiuma, è il mare.
Non è la foglia, non è il vento, ma il cielo.
Il tempo
Contro il tempo, malgrado il tempo, a favore del tempo, nonostante il tempo, in mezzo al tempo.
27 ottobre a Milano
E quando a Lugano in Autunno ho visto spazzar via le foglie, ho capito che l’ordine uccide e i soldi ammazzano le stagioni. A forza di voler dare un posto a tutto ci stiamo giocando la poesia.
Art Director is my zodiac sign
I spent years and years focussing on a single mission: fighting for a water-tight, compartmentalised life. After all, Scorpio is my zodiac sign.
Probably many of you – including me – don’t give a shit about zodiac signs. But there is one thing in particular about astrology and the people who love it so much to write about it that always made me smile: the obsessive care they take to highlight how much Scorpios are “a little bit too much” of everything and do “a little bit too much” of everything.
They say that Scorpios love too much. They cry too much and laugh too much. They try too hard. By shooting randomly, once in a while you can kill someone. And in this regard the Scorpio profile fits me perfectly.
This “a little bit too much” thing always pushed me forward and pulled me back at the same time. I loved so much that I ended up in the hospital. I cried so much that I ended up in the hospital. I pushed myself in sports so much that I ended up in the hospital. I even ate so much that I ended up in the hospital. In the end I gave up and I started working for a hospital. Well, let’s make this long story short. Me being “a little bit too much” has always heavily influenced my choices and my life as a whole. Because when you do a little bit too much of something you end up forgetting about a lot of other things.
Each time it’s the same old story: if an island collapses, all the other islands follow suit. I could have considered this phenomenon acceptable and normal, except that it happened with the same frequency my dog Pez barks when she sees the postman. Hence I designed a water-tight, compartmentalised life plan. I thought that if I managed to isolate all the compartments in my life the “a little bit too much” virus wouldn’t have attacked all of them at the same time. I progressively isolated every single aspect of my life. I tied myself in duct tape so tightly that, in the end, I couldn’t even hear my own heartbeat. But, let’s be honest. It was obvious that it was too much. I had to let it go. Expectedly, I let go everything, and all at once. The moment I let go, my islands came back to life in color. I was able to see the whole picture, and I understood that I wanted to see that picture for the rest of my life. When I welcomed the complexity that defines me and I accepted the risk of seeing everything collapse, nothing was collapsing anymore.
This is what fascinates me, inspires me, and above all makes me feel free about being an Art Director. The chance to welcome and coordinate an endless plurality of arts, styles, and professionals, all contributing in synergy to make the bigger picture the best possible one. This truly makes me feel free. Free to accept myself.